L’apprendimento è un processo attraverso il quale si acquisiscono nuove competenze e potremmo definirlo come un cambiamento nelle performance a lungo termine. Gli apprendimenti scolastici, intesi come le abilità di lettura, scrittura, abilità numeriche e di calcolo, richiedono un’efficienza ottimale ed una perfetta organizzazione di numerose funzioni cognitive che devono essere non solo apprese ma soprattutto usate in modo simultaneo ed efficace per la risoluzione di diversi compiti.

Un bambino che viene esposto alla lingua scritta, per poter apprendere in maniera adeguata, deve possedere i cosiddetti pre-requisiti all’apprendimento, ovvero una serie di competenze antecedenti e propedeutiche che possono essere considerate «fattori protettivi» rispetto all’apprendimento della lettura e della scrittura o aree da potenziare all’interno di programmi didattico-educativi proposti in una fase precedente all’ingresso nella  prima classe della scuola primaria. Tali prerequisiti sono: attenzione visiva ed uditiva, memoria verbale e visiva, percezione visiva, competenze grafo-motorie, integrazione visuo-motoria, competenze metafonologiche, working memory verbale, Ran (Rapid Automatic Naming) e un adeguato sviluppo linguistico.

L’apprendimento del linguaggio scritto coinvolge, quindi, trasversalmente abilità linguistiche e non.

Numerosi sono gli studi retrospettivi impegnati ad evidenziare scientificamente la relazione tra linguaggio e apprendimento. La letteratura ci suggerisce che, se da un lato si riscontra una proporzione significativamente elevata di ritardi del linguaggio nella storia di bambini con disturbi di apprendimento, dall’altra ritroviamo un’elevata incidenza di difficoltà di acquisizione del codice scritto in bambini con disturbi di linguaggio pregressi o in atto. A ciò si aggiunge l’esperienza nella pratica clinica in cui spesso ci si ritrova anamnesi per disturbi di apprendimento positive per ritardo o disturbo di linguaggio o casi di disturbi di linguaggio, apparentemente risolti, che ritornano ai servizi sanitari per disturbi di apprendimento del codice scritto o, ancora, la compresenza, all’interno della stessa famiglia, di casi di disturbi di linguaggio e dell’apprendimento.

A queste considerazioni va aggiunto che il disturbo di linguaggio si configura anche come fattore di rischio per i disturbi specifici dell’apprendimento, così come riportato nella Consensus Conference sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento (2010) in cui viene affermato che “sono da considerare come popolazione a rischio di sviluppare dislessia i bambini che all’età di 5 anni cadono sotto il 10° centile in più di una prova di sviluppo del linguaggio e che mantengono questo livello di prestazione a 8 anni. In base a questi dati, il rischio di sviluppare dislessia nei bambini che presentano fin dall’età di 5 anni un disturbo di linguaggio che permane fino all’età di 8 anni risulta essere circa 6 volte superiore a quello del gruppo di controllo”.

La letteratura è ormai concorde nell’identificare un’ipotesi eziologica multifattoriale alla base della dislessia in cui una serie di deficit fonologici e non fonologici definiscono il profilo cognitivo funzionale del dislessico (deficit di natura fonologica, di processamento visivo, di attenzione visiva, di processamento rapido e di automatizzazione).

La lettura, definita come la capacità di decifrare una serie di stringhe di segni grafici in suoni linguistici e significati, è un processo cognitivo decisamente complesso in cui le abilità di consapevolezza fonologica (fusione sillabica e fonemica) svolgono un ruolo chiave soprattutto nelle lingue ad ortografia trasparente (corrispondenza grafema-fonema) come l’italiano. Il bambino all’ingresso della scuola primaria dovrebbe aver acquisito un’adeguata competenza linguistica e più specificamente una competenza fonologica, ovvero dovrebbe essere in grado di discriminare i suoni della propria lingua, avere padronanza quasi completa della morfo-sintassi, avere un vocabolario sufficientemente adeguato e aver acquisito competenze metafonologiche, ovvero la capacità di percepire e riconoscere per via uditiva i fonemi che compongono le parole del linguaggio parlato operando con gli stessi adeguate trasformazioni, che è in parte pre-requisito dell’alfabetizzazione (metafonologia globale) e in parte è conseguenza stessa dell’esposizione all’apprendimento formale (metafonologia analitica).

Il ruolo chiave del linguaggio lo ritroviamo anche nel modello di lettura a due vie (Coltheart et al. 2001) che prevede l’esistenza di una via lessicale e una via fonologica per la lettura: con la prima si accede al magazzino lessicale che consente l’accesso al vocabolario e quindi permette di leggere e comprendere parole note; la seconda permette di leggere parole non note o non ancora presenti nel magazzino lessicale compiendo una decodifica analitica o sub-lessicale.

Una competenza che potremmo definire come un’integrazione dinamica tra le abilità linguistiche, e più propriamente di accesso al lessico, e quelle di tipo visuo-spaziale è la denominazione automatica rapida (RAN) riconosciuta con largo consenso come un valido predittore delle future abilità di decodifica in quanto condivide con la lettura l’abilità di elaborare stimoli visivi in modo sequenziale e recuperando rapidamente informazioni di tipo verbale.

Infine la working memory, definita da Baddeley (1986) come l’aspetto operativo-funzionale della memoria a breve termine, è un magazzino temporaneo di informazioni deputato al mantenimento e all’elaborazione di informazioni utili all’esecuzione di altri compiti cognitivi quali ad esempio la lettura. Il modello neuropsicologico del magazzino mnesico a breve termine proposto da Alan Baddeley prevede una organizzazione del magazzino in tre componenti fondamentali: un sistema esecutivo centrale e due sistemi chiamati schiavi, uno per l’informazione verbale (il loop articolatorio), ed uno per l’informazione visuospaziale (il taccuino visuospaziale) a cui si aggiunge il buffer episodico (un ulteriore componente capace di integrare le informazioni che provengono dai due sotto-sistemi con quelle della memoria a lungo termine). Di particolare interesse nei processi di apprendimento del linguaggio orale e scritto è il loop articolatorio, o ciclo fonologico, che è il modello che consente di trattenere e reiterare informazioni verbali a breve termine che si avvale di una codifica fonologica ed è organizzato a sua volta in due diverse componenti: una componente di magazzino, il magazzino fonologico, ed una di reiterazione, il refreshment articolatorio.  Il magazzino fonologico svolge un’importante funzione per l’apprendimento di parole nuove. Numerose sono le ricerche concordi nell’affermare che i bambini con disturbo di linguaggio mostrano difficoltà ad imparare nuove etichette lessicali e presentano una ridotta operatività della working memory.

A supporto di tali considerazioni possiamo riportare a titolo esemplificativo lo studio longitudinale condotto da Brizzolara et al. (1999) in cui gli autori hanno osservato che la normale acquisizione delle competenze di letto-scrittura viene ostacolata nei casi in cui l’esposizione alla lingua scritta avviene in presenza di un disturbo persistente di linguaggio associato a deficit delle competenze mnesiche e metafonologiche.

Pur considerando la natura neurobiologica che contraddistingue tali disturbi, occorre operare a livello di prevenzione e di intervento precoce. Quest’ultimo non andrà ad eliminare i disturbi, ma consentirà una modificazione della storia naturale apportando modifiche alle competenze iniziali del bambino ed evitare o contenere le ricadute sugli aspetti psico-sociali del disturbo.

Il ruolo chiave in tal senso è svolto dalla famiglia e dalla scuola, in cui a partire dai primi anni della scuola dell’infanzia è possibile favorire uno sviluppo equilibrato delle competenze e intercettare le difficoltà laddove presenti.

De Marco Sara

Savino Rita

Minelli Valentina

CDA dei Logopedisti di Foggia

Bibliografia

– Baddeley,A (1986), Working memory, London, Oxford Ubiversity Press; trad. It. La memoria di lavoro, Milano, Cortina, 1989.

– Brizzolara D, Casalini C. et al., Memoria di lavoro fonologica e difficoltà di apprendimento della lingua scritta nei bambini con disturbo specifico del linguaggio, in “Psicologia clinica dello sviluppo, Rivista quadrimestrale” 3/1999, pp. 465-488, doi: 10.1449/578

– Conti-Ramsden G, Durkin K. (2007, Feb) Phonological short-term memory, language and literacy: developmental relationships in early adolescence in young people with SLI. J Child Psychol Psychiatry.

– Gathercole, S.E. e Baddeley, A.D. (1981), The role of phonological memory in vocabulary acquisition: A study of young children learning arbitrary names of toys, in «British Journal of Psychology», n. 28, pp. 439-454.

– Fabrizi A. e Penge R. (2009), Dal disturbo specifico del linguaggio al disturbo specifico di apprendimento. In E. Marini, L. Marotta e M. Pieretti (a cura di), Presa in carico e intervento nei disturbi dello sviluppo, Trento, Erickson.

– Istituto Superiore di Sanità, Sistema Nazionale Linee Guida (2010), Consensus Conference Disturbi Specifici dell’Apprendimento, Roma.

– Vicari s. e M.C. Caselli, (2010) Manuale di Neuropsicologia dell’età evolutiva, Bologna, il Mulino.

Comunicato CdA Logopedisti